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LEGNANO – Una categoria che ha bisogno di aiuto in questo periodo così difficile, ma che stenta a ottenerlo. Si tratta degli operatori degli allestimenti fieristici: un settore economico pesantemente investito dall’emergenza sanitaria e praticamente spazzato via nel giro di 24 ore. «Siamo un po’ gli “invisibili” – spiega Fabio Gobbo, contitolare con il fratello Roberto della Gobbo Allestimenti Snc di Legnano, una piccola impresa specializzata in allestimenti per eventi fieristici e congressuali presente sul mercato da oltre trent’anni – tutti in Fiera possono apprezzare i nostri stand, ma non sanno quante persone vi lavorano. La nostra, come tutte le aziende del comparto, si trova a fatturato zero fin dallo scorso 21 febbraio, senza alcuna certezza di ripresa del lavoro a breve. Da allora – prosegue Gobbo – tutte le aziende sono chiuse, con i dipendenti in cassa integrazione a zero ore. Dopo un’estremamente tenue ripartenza nei mesi di settembre e ottobre, il nostro settore è ancora al palo. Il Decreto Ristori, a causa dell’utilizzo dei codici Ateco, ha rappresentato un aiuto solo per una piccola parte delle aziende, dimostrando tutta l’iniquità di un tale parametro. Esiste una nostra associazione nazionale di categoria, Asal, affiliata a FederlegnoArredo e che raggruppa circa 250 imprese; in tanti si sono aggregati spontaneamente su un gruppo social parallelo, “Allestitori si nasce” per cercare di avere una maggiore visibilità».
Trattati come invisibili, molti mesi per ripartire
Questa la lettera del “grido di dolore” lanciato dall’azienda legnanese:
Il D. L. n. 137 dello scorso 28 ottobre – il cosiddetto “decreto ristori” – ha stabilito che a provare il fatto di appartenere a questa disgraziata categoria degli allestitori fieristici non sia l’effettiva e dimostrabile attività, svolta bensì una mera classificazione statistica chiamata Codice Ateco.
Dall’inizio della pandemia ci siamo attivati per sollecitare una reazione alla catastrofe che ha travolto il nostro settore. Quello dell’allestitore è un lavoro estremamente complesso che assomma in sé quasi tutte le competenze artigianali e professionali conosciute. Siamo scenografi, falegnami, progettisti, carpentieri, grafici, costruttori ma anche trasportatori, montatori, elettricisti, decoratori, e potrei proseguire con un lungo elenco.
Sarà per questo motivo che una recente indagine effettuata da Asal tra le imprese associate, confermata da un sondaggio che il gruppo #allestitorisinasce ha condotto fra gli oltre 400 operatori specializzati aderenti alla propria piattaforma, ha rivelato che sono almeno 50 i diversi codici Ateco attribuiti dalle Camere di Commercio alle aziende che si occupano di allestimenti. Di questi, soltanto quattro (pari appena al 14% dell’intero settore) risultano attualmente inseriti nel “decreto ristori”, dimostrando la palese inefficacia e iniquità del criterio che il governo ha voluto adottare per identificare le attività economiche danneggiate dai provvedimenti di contenimento dell’epidemia.
Questo significa soprattutto che, se non cambierà qualcosa con l’arrivo dei successivi decreti o con la legge di bilancio in corso di approvazione, gran parte delle imprese che operano nell’allestimento di fiere e congressi – praticamente ferme da metà febbraio con fatturati prossimo allo zero – non potrà contare sul benché minimo sostegno economico.
Va fatto notare che gli allestitori, pur appartenendo alla comune filiera degli eventi fieristici e congressuali, non possono e non debbono essere confusi con i “quartieri fieristici” (che gestiscono le strutture immobiliari ove si svolgono gli eventi) né con gli “organizzatori” (che progettano e promuovono gli eventi stessi); soggetti, questi, che si apprestano comunque a beneficiare di un sostanzioso contributo a fondo perduto. Gli allestitori sono invece più propriamente quei soggetti imprenditoriali che, nella fase finale del processo, rendono fisicamente possibile l’evento materializzandone i contenuti.
A livello nazionale si parla di circa 500 imprese specializzate, generalmente di piccole dimensioni, che forniscono ai c.d. “espositori” – ovvero alle aziende che fanno degli eventi espositivi il loro principale strumento di marketing – tutti quei servizi che riguardano la progettazione, la costruzione e l’allestimento in opera dei cosiddetti “stand”, definendo con questo termine le originali ed esclusive architetture temporanee che caratterizzano gli spazi fisici destinati a rappresentare le singole aziende espositrici.
Queste imprese danno mediamente lavoro a circa 120.000 occupati diretti e indiretti, sviluppando un fatturato che – secondo le stime del centro studi di FederlegnoArredo – nel 2019 ha sfiorato i 2 miliardi di euro. Per effetto della sospensione di ogni evento pubblico indotta dal primo lockdown, nel solo periodo marzo-agosto l’intero comparto ha registrato una perdita di fatturato, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, superiore al 95%.
L’attesa recrudescenza dell’epidemia ha altresì vanificato le attese del settore che, tra settembre e ottobre, si era illuso di poter cominciare a vedere la luce in fondo al tunnel grazie a una pur timida riapertura delle fiere. Il vago barlume di speranza è del tutto svanito all’indomani del Dpcm del 25 ottobre che ha rigettato nel lockdown ogni forma di evento pubblico. Anche questo fa sì che le previsioni più ottimistiche diano per certa una perdita complessiva di fatturato compresa, su base annua, tra il 75 e l’80%.
Non aiuta sapere già oggi che il 2021 si prospetterà non meno travagliato: non passa infatti giorno senza che si assista all’annullamento o al rinvio sine die (che in sostanza significa annullamento) degli eventi in calendario nei primi mesi del prossimo anno, spostando ogni giorno più avanti nel tempo la prospettiva di una ripartenza che appare sempre più incerta. Allo stato attuale, c’è fondato motivo di credere che anche tutto il 2021 sarà pesantemente compromesso.
Per questo motivo, con quasi tutto il personale in cassa-integrazione a zero ore da mesi e senza alcuna prospettiva di una ripresa in tempi ragionevolmente brevi, la nostra situazione si sta facendo ogni giorno più drammatica ed esplosiva. Sono già molte le piccole aziende – meno strutturate per resistere a prolungati stati di crisi – che stanno pensando di chiudere definitivamente i battenti entro la fine dell’anno.
Abbiamo oramai capito che siamo un esercito di “invisibili”. E, in effetti, il nostro lavoro si svolge tutto dietro le quinte, ma non per questo meritiamo meno attenzione di ristoranti, bar e discoteche, attività che avranno senz’altro subìto importanti cali di fatturato ma che hanno in qualche modo “salvato” la stagione estiva e in ogni caso, a differenza di noi, potranno contare sulla possibilità di ripartire immediatamente una volta decorso il periodo di lockdown.
Nel nostro caso, invece, la ripartenza, quand’anche ci fosse, sarebbe comunque lenta e faticosa: per lanciare un singolo evento fieristico o congressuale occorrono mesi, e pensiamo che occorrano non meno di un paio d’anni per ricostruire l’intera rete di eventi espositivi, soprattutto quelli internazionali, fatta a pezzi dal malaugurato evento pandemico.
A questo punto non ci resta che confidare in una attenzione da parte del governo che finora, francamente, non ci è proprio parso di poter apprezzare.
Gli esigui sostegni fino ad oggi ricevuti, prevalentemente limitati alla proroga della cassa integrazione Covid, a qualche bonus sotto forma di credito d’imposta e a una quota-parte del fondo perduto disposto dal Mibact (il cui valore economico è pressoché irrilevante), non consentono certo di guardare al futuro con inveterato ottimismo. Anche la paventata e auspicabile apertura di un tavolo di crisi presso il ministero dello Sviluppo economico, che ci vedrebbe partecipi insieme ad Aefi (esposizioni e fiere), Cfi (organizzatori) e Federcongressi, non promette di risolvere un problema contingente che rischia però di esaurirsi da solo, in breve tempo, con la perdita di migliaia di posti di lavoro e la sostanziale distruzione di un comparto industriale che, tra l’altro, rappresenta una eccellenza artigianale del “Made in Italy”.
Per capirlo non serve interrogare i codici Ateco: basterebbe considerare i riscontri economici effettivi delle imprese, peraltro facilmente verificabili attraverso lo strumento della fatturazione elettronica.
Fabio Gobbo
Gobbo Allestimenti snc
Legnano